sabato 27 agosto 2016

IL TERREMOTO ED I CAREGIVER FAMILIARI

www.adnkronos.com

Terremoto: la paura di non poter scappare, l'appello dei Caregiver familiari

formazione specifica per soccorritori e case popolari al pianterreno per famiglie con disabilità

 CRONACA


Prevedere una formazione specifica per le persone addette al soccorso delle famiglie con disabilità, oltre a esercitazioni e simulazioni presso le loro abitazioni, e favorire l'assegnazione delle case popolari al piano terra alle persone con disabilità. E' l'appello lanciato alle istituzioni dal presidente del Coordinamento nazionale famiglie disabili gravi e gravissime, Simona Bellini a pochi giorni dal terremoto che ha devastato l'Italia centrale.
Simona la notte del sisma si trovava con la sua famiglia a Cornillo Nuovo, un piccolo centro a 5 km da Amatrice. La figlia Letizia è gravemente disabile e il marito Salvatore ha anche lui una disabilità motoria. Ricordi frammentari, senso di angoscia ma, soprattutto, la paura di non farcela e il pensiero a chi, nella medesima situazione familiare vive in condizioni abitative estremamente più complesse e rischiose.
''Fino alla sera successiva al sisma -ricorda Simona Bellini all'Adnkronos- non ricordavo nulla di quanto era accaduto. Ricordavo solo di aver chiuso la riunione del direttivo del coordinamento intorno all'una di notte (le facciamo via chat con facebook ed ero già a letto con Letizia e digitavo da lì), mi sono addormentata... Poi, il caos del risveglio''.
I ricordi sono confusi ma con il passare del tempo affiorano più nitidi e il dolore aumenta, perchè ''tanti amici di lì non ce l'hanno fatta. All'inizio -racconta ancora Simona- non ricordavo nulla, mi sono ritrovata in macchina con Letizia. Ieri ho parlato con lo psicologo del Coordinamento che mi ha rasserenata un pò sulle mie emozioni delle quali avevo perso un po' il controllo. Ho ricordato che Letizia si è svegliata subito, e che l'ho presa per le gambe per trascinarla fuori dal letto, poi si è sforzata di camminare con il mio aiuto fino alla macchina. Ci ha salvati il fatto di essere al piano terra in una casa per noi 'facile': così non è stato troppo faticoso uscire e arrivare all'auto mentre Salvatore pensava ad aprirci la porta, prendere le chiavi, chiudere il gas. Vederlo barcollare con tutte le sue difficoltà mentre faceva tutto ciò che ci eravamo detti solo tre giorni prima, mi ha commosso. Però il mio pensiero centrale era Letizia''.
Ora Simona si sente una miracolata. ''Ora mi sento un po' meglio -prosegue Simona- ma vedere il mio paese sconvolto, i luoghi della mia infanzia e dei miei ricordi distrutti, il patrimonio storico architettonico imploso ma, soprattutto, le notizie sulle vittime, praticamente tutte conosciute, mi stravolge. So solo -afferma- che se il sisma ci avesse sorpreso in una casa di tipo diverso mi sarei stesa accanto a mia figlia e avrei atteso la morte''.
Per questo rivolge ora con forza il suo appello alle istituzioni perchè si preveda una formazione specifica per le persone addette al soccorso delle famiglie con disabilità, oltre a esercitazioni e simulazioni presso le loro abitazioni e che si favorisce l'assegnazione delle case popolari al piano terra alle persone con disabilità.
''Rientrata a Roma, -racconta ancora Simona- ho sentito Chiara (un'altra mamma del Coordinamento che abita al 14° piano di una casa popolare a Roma con il figlio gravemente disabile immobilizzato a letto) mi ha raccontato che la sera del terremoto la sua casa ha ondeggiato spaventosamente con i quadri che cadevano dalle pareti, lei non si è potuta muovere. Mi ha detto sentivo i vicini scappare per le scale ma mio figlio non è in grado di fare nessun movimento autonomo. Mi sono stesa accanto a lui, l'ho abbracciato e stretto pensando che qualsiasi cosa fosse accaduto saremmo restati insieme. Ecco -conclude Simona- ho pensato anche a lei, da sola al 14° piano non potrebbe fare nulla''.


Terremoto e disabili: ho paura per mia figlia Diletta

Terremoto e disabili: ho paura per mia figlia Diletta
Cronaca





Profilo blogger
Attivista per i diritti dei disabili
Siamo ancora molto provate dalla tragedia che ha colpito il centro Italia. Nomi, volti, storie di vite umane spazzate via. E oggi capisco meglio la paura , il terrore, il limite. Alle 3.36 del 24 agosto mi trovavo in Abruzzo, in una zona non colpita dal terremoto ma dove le scosse sono state forti abbastanza da svegliare me e le mie figlie più piccole.
Non abbiamo capito subito. Inizialmente ho sgridato il cane credendo che il rumore fosse dovuto ai suoi movimenti di quando si gratta appoggiato a una finestra aperta. Ma lui non c’era. In poche frazioni di secondi il letto si spostava, utensili della cucina cadevano. Il tavolo e le sedie sul balcone si spostavano come se sciassero. Il panico. Finita la scossa Diletta dormiva nonostante il girovagare del suo letto.
Tutti in strada. Io no. Noi no. Ho provato la sensazione terribile di dovermi chiedere quali figlie mettere in salvo. Al terzo piano. Montascale lento, Diletta a letto sotto farmaci e di fatto intrasportabile. Non potevo lasciarla sola. Ma non potevo non mettere al sicuro le altre due figlie. Ho pregato che fosse finita.Dopo un po’ un’altra scossa, che forse ci è sembrata più forte a causa del terrore che avevamo addosso. Chiedo alle due mie figlie minori di scendere e di mettersi in salvo con i vicini che erano già in macchina.
La maggiore mi guarda con le lacrime agli occhi. Letteralmente terrorizzata mi dice testualmente : “Scordatelo mamma, noi rimaniamo tutte insieme come sempre. Vuol dire che moriremo tutte insieme”. Non riesco ancora a spiegare cosa ho provato. Ma siamo rimaste lì. Abbracciate ad attendere il giorno. Una sensazione assurda e bruttissima. Ho capito che con Diletta noi non avremmo potuto metterci in salvo. Non avremmo potuto neanche provarci. Spostare Diletta per sei rampe di scale sarebbe stato impossibile. E comunque, per la sua condizione così grave, sarebbe morta comunque.
Oggi scrivo da Roma. Ho anticipato il rientro per arrivare al mio piano terra rialzato. Leggo e ascolto attonita gli aggiornamenti. Non so commentare. E’ talmente inutile. Provo, come tutti, un dolore profondo. Con questa testimonianza desidero solo essere particolarmente vicina a chi ha dovuto scegliere davvero. A chi oggi non può più raccontare. La mia preghiera per chi ha dovuto scegliere di rimanere insieme in un ultimo tragico abbraccio.
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Terremoto e disabilità, la paura di non poter scappare: mamme raccontano

Il racconto di due mamme. Simona era a 5 chilometri da Amatrice: ho trascinato mia figlia fino all'auto. Miracolati perché la casa è al piano terra, siamo usciti facilmente. Chiara a Roma, al 7° piano, col figlio gravemente disabile: notte di terrore, passata ai piedi del suo letto. Noi non possiamo fuggire

25 agosto 2016
ROMA - Era a 5 chilometri da Amatrice, con la figlia Letizia, gravemente disabile, e il marito Salvatore, anche lui con una disabilità motoria. Simona Bellini assicura che “fino a ieri sera non ricordavo nulla di quanto era accaduto”. Ora la memoria inizia a schiarirsi, ma la paura è sempre viva e il dolore aumenta ora dopo ora, perché “tanti amici di lì non ce l'hanno fatta”. Per lei, certo, è stata particolarmente dura: Letizia riesce a muovere solo pochi passi, “l'ho dovuta trascinare sul pavimento per farla scendere dal letto, poi si è sforzata di camminare, con il mio aiuto, fino alla macchina”.
Salvatore e Letizia
Amatrice, Salvatore e Letizia
Per fortuna, Salvatore e Simona avevano parlato proprio pochi giorni prima di come dividersi i compiti in caso di un eventuale emergenza: “io avrei pensato a Letizia, mentre lui, che ha seri problemi di equilibrio, si sarebbe occupato di tutto il resto: la luce, il gas, la porta di casa”. Se lo sentiva, Simona. O forse è solo lo zelo e l'abitudine a prevedere il peggio e a prepararsi a tutto, tipica del caregiver. E stamattina ricorda così la terribile nottata tra martedì e mercoledì. “Ero a letto con Letizia e avevo da poco chiuso il portatile, dopo una lunga riunione via chat con il direttivo del Coordinamento delle famiglie con disabili. Mi sono addormentata, per risvegliarmi nel caos totale. Letizia si è svegliata quasi subito: l'ho trascinata per le gambe fuori dal letto. Ci ha salvati il fatto di essere al piano terra, in una casa per noi 'facile': così non è stato troppo faticoso uscire e arrivare all'auto, mentre Salvatore pensava ad aprirci la porta, prendere le chiavi, chiudere il gas. Vederlo barcollare, con tutte le sue difficoltà, mentre faceva tutto ciò che ci eravamo detti, mi ha commosso. Però il mio pensiero centrale era Letizia”.
Oggi Simona si sente una miracolata. “so che se il sisma ci avesse sorpreso in una casa di tipo diverso, non avremmo avuto scampo: mi sarei stesa accanto a mia figlia ed avrei atteso la morte”. Per questo rivolge ora, con forza e commozione, il suo appelloalle istituzioni, perché “si preveda unaformazione specifica per le persone addette al soccorso delle famiglie con disabilità, oltre a esercitazioni e simulazioni presso le loro abitazioni”. Ma Simona chiede anche che “si favorisca l'assegnazione delle case popolari al piano terra alla persone con disabilità. Penso alla mia amica Chiara Bonanno, che abita a una piano altissimo di una casa popolare a Roma, con il figlio gravemente disabile, immobilizzato a letto: non riesce ad averne una al piano terra e così, oltre ad essere praticamente prigioniera in casa, va incontro al peggio, in caso di emergenza”.
Chiara con sul figlio Simone
Così infatti la stessa Chiara racconta, in pochi tratti, il terrore di quella notte, al settimo piano di un palazzo: “Provo terrore ogni volta che c'è un terremoto. Abito con mio figlio, totalmente allettato, al settimo piano di una casa popolare. Il palazzo è edificato sopra un altro palazzo, quindi di fatto sono al 14 esimo piano. Quando la terra si muove, anche a chilometri di distanza, ondeggiamo spaventosamente con porte che sbattono contro i muri e quadri che cadono dalle pareti. L'altra notte - ci racconta - sentivo scappare per le scale i vicini, parlavano a voce alta come se fosse giorno. Anche il mio corpo era pronto per la fuga: il cuore batteva forte, i muscoli irrigiditi, i polmoni in iperventilazione....ma mio figlio non è in grado di fare nessun movimento autonomo, nemmeno quello di mettersi sotto il letto, come certi manuali di emergenza raccomandano. E così mi sono stesa accanto a lui, l'ho abbracciato stretto ed ho serrato gli occhi: qualsiasi cosa fosse successo saremmo restati insieme. C'è un sentimento d'ineluttabile fatalità che mi pervade in quei momenti - riferisce ancora Chiara - So bene che, anche se anche avessi più tempo per reagire, trasportare mio figlio fuori dal palazzo sarebbe una cosa impossibile da fare in breve tempo. L'ascensore è troppo stretto, all'ingresso ci sono delle scale: le pochissime volte che mio figlio è uscito da quando è in queste condizioni, non ce l'avremmo mai fatta se non fosse stato per l'aiuto dei barellieri dell'autoambulanza.Siamo prigionieri in questo palazzo popolare da tanti anni che ormai non speriamo più..." (cl)
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